RECENSIONI
Michel Angelo Grancini, Novelli fiori ecclesiastici concertati nell'Organo all'uso moderno, […] a quattro voci op. IX
NOVA ARS CANTANDI
Ivana Valotti (organo) - Giovanni Acciai (direzione)
CD Da Vinci Classics C00895
Disco del mese di «Music Voice». Luglio 2024
Prima di affrontare la disamina di una recentissima pubblicazione da parte della Da Vinci Classics, che presenta la registrazione in prima assoluta mondiale dei Novelli Fiori Ecclesiastici Opera IX del musicista milanese Michel Angelo Grancini, effettuata dall'ensemble Nova Ars Cantandi, desidero spendere due parole su Giovanni Acciai, vale a dire il deus ex machina della ricerca musicologica in ambito antico e barocco e della sua, a dir poco prodigiosa, capacità di "ciclostilare", sfornare almeno una registrazione discografica a livello annuale di suprema qualità, sempre con la preziosa collaborazione delle quattro voci che formano l'ensemble in questione, unitamente all'indispensabile presenza di Ivana Valotti all'organo, oltre che dello stesso Acciai in qualità di direttore. Non credo che a livello internazionale ci sia un'altra figura in grado di emulare o di ottenere gli stessi, mirabili risultati che Acciai riesce a produrre, sia a livello di studio e di ricerca, sia nella conseguente e sfociante trasposizione e resa di incisione discografica.
Tanto per chiarire meglio, di fronte a una simile messe di studio e di relativa applicazione sonora, non si può parlare solo di encomiabile e instancabile passione, in quanto la sola passione, a volte, rischia di mancare di un'altrettanta, ineludibile, dote, quella che porta il nome di lucidità. Lucidità intellettuale, lucidità di ricerca, lucidità di programmazione e lucidità gestionale, le quali, messe tutte insieme, permettono la costruzione di un edificio in cui tutti i piani sono collegati da un ascensore che ne rappresenta il denominatore comune. Ebbene, in Giovanni Acciai, trovo che questo "ascensore" faccia idealmente rima con il concetto di "ricerca centrifuga", poiché se si va a indagare lo studio sistematico e certosino che il nostro musicologo e musicista porta avanti da tanti, tantissimi anni, parallelamente alla sua produzione discografica, possiamo renderci conto che il suo spettro d'indagine e di disvelamento artistico e culturale tende ad allargarsi in modo logico e concatenante, un qualcosa che è frutto, quindi, non di passione in sè, la quale, torno a ripetere, può dare adito anche a risultati che sono a casaccio o che sono figli di un parto intellettualmente "anarchico", ma di indefessa e implacabile lucidità. Per comprendere ciò, è sufficiente dare un'occhiata alla discografia di Giovanni Acciai e della "sua" Nova Ars Cantandi, con gli autori da loro presi in considerazione: i pilastri portanti, dai quali si diramano poi i conseguenti agganci, sono da una parte Giovanni Pierluigi da Palestrina e, dall'altra, e non potrebbe essere altrimenti, Claudio Monteverdi. Da entrambi partono poi segmenti storico-interpretativi che vanno a formare progressivamente strutture, scuole, canoni, panorami più o meno direttamente collegati, passando da Lodovico Grossi da Viadana (il primo ad utilizzare regolarmente e sistematicamente il basso continuo al posto delle voci), Giovanni Contino (filone palestriniano), Giacomo Moro e Pietro Vinci (filone madrigalesco), Isabella Leonarda (la prima compositrice ad aver pubblicato sonate per uno, due, tre e quattro strumenti), Giovanni Legrenzi (filone monteverdiano della "seconda prattica") e lo studio della Scuola napoletana in chiave sacra (Francesco Durante e Leonardo Leo) e, ancora tra rimandi e anticipazioni, ora si aggiunge per l'appunto Michel Angelo Grancini, di cui proprio Legrenzi cercò di succedere, senza riuscirvi, come organista al Duomo di Milano.
Ecco che cosa vuol dire coniugare la passione dell'interprete con il rigore scientifico del musicologo, fornendo quindi una discografia come se fosse un corso di lezioni sonore a livello universitario o conservatoriale (e da qui si può comprendere meglio per quale motivo abbia utilizzato il termine di "ricerca centrifuga"). Inoltre, non è certo esagerato affermare che Giovanni Acciai e i componenti della Nova Ars Cantandi abbiano "resuscitato" un musicista come Michel Angelo Grancini, se si tiene conto che a tutt'oggi il suo nome, nel panorama discografico, appare in due, dicasi due, dischi che presentano brani di autori vari, oltre a un disco dello stesso Acciai e della Nova Ars Cantandi, risalente al 2019 e live, in cui presentarono una parziale esecuzione di codesti Fiori musicali. Quindi, quello pubblicato dalla Da Vinci Classics è in assoluto il primo progetto discografico dedicato interamente ed esclusivamente a quello che il musicologo e studioso di musica sacra Giuseppe Biella ha definito il musicista milanese più illustre del Seicento.
Facendo affidamento sulle consuete e approfondite note di accompagnamento stilate da Giovanni Acciai, vediamo di capire prima di tutto chi fu Michel Angelo Grancini, a cominciare dalla sua data di nascita che può essere stabilita nell'anno 1605 grazie al certificato di morte conservato fino ai nostri giorni. Invece, non si sa nulla della sua famiglia e della sua prima educazione anche se, grazie alle sue innegabili doti mostrate in campo musicale, sappiamo che a soli diciassette anni Grancini fu nominato organista presso la chiesa di Santa Maria del Paradiso, all'epoca posta nel centro storico di Milano. Le sue capacità esecutive furono ulteriormente confermate nel 1624, quando il nostro autore divenne organista anche della chiesa del Santo Sepolcro, sede degli Oblati dei Santi Ambrogio e Carlo, una congregazione fondata nel 1578 dall'allora arcivescovo di Milano, il cardinale Carlo Borromeo, uno dei più accaniti nemici in campo cattolico della Controriforma. La scalata alla notorietà organistica non si fermò però qui, poiché quattro anni dopo Grancini si trasferì nella chiesa di Sant'Ambrogio Maggiore per ricoprire tale incarico.
Fu proprio durante questi ultimi anni che all'organista si affiancò anche l'attività di compositore, visto che Grancini pubblicò le sue prime raccolte di musica sacra, vale a dire l'Armonia Ecclesiastica de Concerti, a una, due, tre e quattro voci, op. I, stampata nel 1622; Il secondo libro de Concerti, a una, due, tre e quattro voci op. II (1624); una terza opera, andata perduta; e le Messe, Motetti et Canzoni a otto voci, op. IV (1627). È indubbio che, oltre ad essere un notevolissimo organista, il fatto che il compositore milanese avesse pubblicato tali opere, gli permise di accedere all'impiego più prestigioso che un musicista all'epoca potesse ambire, quello di ricoprire uno dei due incarichi di organista presso il Duomo di Milano, che Grancini riuscì a mantenere per ben vent'anni, prima di essere promosso, nel 1650, maestro della cappella della cattedrale, permettendogli di assumere lo status di principale compositore milanese incaricato dell'apporto musicale per i maggiori eventi politici e civili della città, cosa che fece fino alla morte, avvenuta il 16 aprile 1669.
Michel Angelo Grancini fu uno di quegli artisti che dovettero affrontare con la loro vita e la loro opera l'immane sciagura della peste, che flagellò l'Italia settentrionale tra il 1629 e il 1632, e che vide Milano particolarmente colpita (la lettura, in tal senso, de I promessi sposi di Manzoni potrebbe aiutare a comprendere meglio che cosa rappresentò tale evento… ). Eppure, Grancini non venne mai meno al suo incarico e alla sua missione creativa, producendo pagine di musica sacra, esclusivamente dedicata al servizio liturgico consueto per la chiesa milanese.
Per quanto riguarda i Novelli fiori ecclesiastici concertati nell'Organo all'uso moderno, […] divisi in Messa, Salmi, Motetti, Magnificat, et le Letanie della Madonna, a quattro voci op. IX, pubblicati a Milano da Giorgio Rolla nel 1643, si tratta di un'antologia di brani in grado di soddisfare qualsiasi tipo di esigenza liturgica, incarnando un repertorio ideale per servizi specifici come la Messa e l'Ufficio divino. Non per nulla, questa raccolta ingloba mottetti (Exultemus in Domino, Ecce nunc benedicite, Jubilemus omnes, Audite haec omnes gentes, Exultate gaudio), salmi (Domine ad adjuvandum me, Dixit Dominus, Confitebor tibi Domine, Beatus vir, Laudate pueri Dominum, Laudate Dominum omnes gentes), oltre a un Magnificat, primo tono, e a un altro breve Magnificat, terzo tono, unitamente a una Messa concertata (non inclusa in questa registrazione) e le Litanie della Madonna, capaci di servire, alla bisogna, a tutti gli scopi nell'ambito delle funzioni religiose.
Giustamente, Giovanni Acciai mette in rilievo un particolare assai interessante, che riguarda la dicitura che appare sul frontespizio della stampa, la quale recita testualmente "Concertati nell'organo all'uso moderno", come si può leggere facilmente sulla cover del disco. Un particolare che si deve ricollegare al fatto che dodici anni prima, quando Grancini fece stampare la sua sesta opera (Sacri fiori concertati a una, due, tre, quattro, cinque, sei et sette voci con alcuni Concerti in Sinfonia d'Istromenti et due Canzoni a quattro, pubblicata a Milano, sempre da Giorgio Rolla), fu rimproverato dalle autorità ecclesiastiche per aver apertamente aderito al cosiddetto stylus modernus, sorto sulla scia della grande lezione monteverdiana. Oltre ad amareggiarlo profondamente, il compositore milanese pagò un ulteriore dazio quando pubblicò i Novelli fiori, in quanto sebbene il suo riferimento all'uso moderno apposto per questa raccolta fosse quasi fuori posto, poiché le quattro voci sostenute dall'organo non mostravano atteggiamenti lessicali inappropriati o comunque tali da giustificare un atto di censura, fu sufficiente per suscitare il biasimo da parte della chiesa milanese del tempo solo per il fatto che Grancini aveva osato usare il termine "moderno" sul frontespizio della stampa. A condannarlo, dunque, non fu la musica da lui composta in quest'opera, ma l'aver "intellettualmente" aderito al "manifesto" rappresentato dalle nuove esigenze stilistiche e formali che si stavano affermando intorno alla metà del Seicento nel Nord Italia, anche se questo vento di rinnovamento non aveva ancora lambito il territorio milanese, roccaforte di quelle bieche e becere regole sancite dal concilio tridentino e rappresentate musicalmente dalla concezione polifonica palestriniana, contro la quale lo stylus modernus, incarnato dal canto monodico e dallo stile concertato, stava ormai sovvertendo radicalmente il linguaggio musicale del tempo.
Come sovente accade e non solo per quanto riguarda l'arte musicale, Grancini, da vittima sacrificale, a quel punto si sentì in dovere di offrire il proprio atto di contrizione rappresentato dalla sua decima opera, la Musica Ecclesiastica da Cappella a quattro voci, divisa in Messe, Motetti, Magnificat. Aggiuntovi il Basso continuo a beneplacito per l'organo, stampata sempre da Giorgio Rolla nel 1645 (vi ricordate per quale ragione Dmitrij Šostakovič nel 1937 compose la Quinta sinfonia? Corsi e ricorsi storici… ). Un atto di contrizione che lo portò a "lubrificare" ulteriormente il tutto sia attraverso un mirato e "ortodosso" titolo, sia a dedicare l'opera a un altro bieco censore ecclesiastico e nemico giurato della Riforma, l'arcivescovo cardinale Cesare Monti, che aveva preso le redini della chiesa milanese dopo la morte, avvenuta nel 1631, del predecessore Federico Borromeo, quest'ultimo cugino di Carlo Borromeo, il quale pubblicamente definì, proprio per aver appoggiato lo stylus modernus monteverdiano, "effeminata" la musica di Grancini.
Di "effeminato", però, nel senso dispregiativo del termine, i Novelli fiori non hanno nulla, ma rappresentano un meraviglioso esempio di quel processo evolutivo fornito dalla seconda prattica monteverdiana, la quale consigliava di fornire al testo cantato quella propulsione, quella forza, quell'espressività supreme, in modo da scatenare nell'ascoltatore moti di sensualità emotiva. Per Monteverdi e per coloro che vennero dopo di lui, seguendo le sue orme, la parola fu una sorta di pontifex, uno straordinario tramite, un potentissimo transfert semantico, la cui profondità e il cui fascino dovevano essere esaltati attraverso la sua enunciazione, sempre perfettamente intellegibile e pervasa da un'irresistibile comunicabilità. E tutto ciò per donare emozione, mettere a nudo il cuore, generare stupore e commozione nell'ascoltatore.
E Grancini, in ciò, fu primissimo attore e continuatore, anche se la sua innovativa e, per certi versi, rivoluzionaria opera in nome delle possibilità esplorative fornite dalla seconda prattica cessarono nel momento stesso in cui il "movimento creativo" cedette il passo al "regime retrivo", ossia quando nel 1659, assumendo l'incarico di maestro di cappella del duomo di Milano, il compositore milanese divenne servo e servitore dell'asfissiante nomenklatura ecclesiastica tout court.
Tornando nello specifico dell'opera nona, Giovanni Acciai fornisce delle preziose informazioni per far comprendere meglio, soprattutto ai non addetti e ai non specialisti, la bellezza creativa e formale di questa raccolta, che riguardano l'intonazione dei testi dei Salmi, in cui Grancini segue due metodi compositivi distinti: il primo, dato da un procedimento costante, in cui i versi poetici di David vengono resi attraverso un'unica, ampia sezione che si arricchisce di un flusso costante di imitazione tra le parti; il secondo, invece, è fornito da un procedimento a più sezioni (come nel caso di Domine, ad adjuvandum, Dixit Dominus, Beatus vir, Magnificat e delle Letanie della Madonna), che porta ad ottenere un contesto interpretativo più dinamico e variegato, in quanto le singole sezioni sono caratterizzate da uno stile, da una metrica e da un'agogica contrastanti, il tutto ulteriormente esaltato dalla "discreta" presenza dello stile concertato, tenendo conto che anche i mottetti presenti nell'opera nona vengono trattati ed eseguiti con il medesimo approccio.
Senza approfondire ulteriormente l'analisi compositiva dei Novelli fiori, ma invitando in tal senso a un'attenta lettura di quanto Giovanni Acciai spiega minuziosamente, c'è da fare un'ulteriore considerazione che ci permette di apprezzare la personalità e l'arte del compositore milanese, ossia quella di aver saputo mediare, offuscare tra le pieghe del suo fare musica, pur nel pieno rispetto delle dogmatiche regole controriformiste, il suo impellente bisogno di rendere sempre chiaro, diretto, immediato il processo declamatorio del testo religioso, privilegiando l'espressività che covava nell'affascinante linea melodica, a scapito del palestriniano articolarsi della natura contrappuntistica. Non per nulla, lo stesso Acciai si spinge nel sostenere che la poesia della musica granciniana in fondo è la poesia di un linguaggio parlato (ossia quanto di più luterano si possa immaginare!), ma elevato al vertice di un'intensità espressiva tale che non ha nulla di riformistico, facendoci immaginare che l'arte musicale del nostro autore possa essere messa sullo stesso piano di quella oratoriale di stampo ciceroniano, in quanto anche quest'ultima, per sua manifesta perfezione formale e semantica, assume i connotati di una vera e propria poetica.
Un ultimo particolare e che si va, come vedremo, a unire alla lettura fatta dai componenti della Nova Ars Cantandi, ossia quello che riguarda in Grancini il rapporto tra le parole e il suono ottenuto tramite la loro declamazione/canto. Traendo spunto proprio dalla potenza oratoriale della quale si fa forza, risulta incontestabile il fatto che il suo rendersi atto rientri nei canoni di una pura recitazione, manifestandosi in nome di un'innegabile eloquenza declamatoria. Personalmente, sono sempre stato convinto che un fare arte in tal modo sia fondamentalmente un atto che produca teatralità, in quanto la parola che affiora, crea inevitabilmente spazio e tempo, ossia è fautrice di una rappresentazione tale da rasentare quanto avviene su un palcoscenico teatrale o lirico. Da qui l'odor di satanismo del quale, come ricorda ancora sagacemente Giovanni Acciai, lo stesso Carlo Borromeo metteva in guardia fedeli e sgherri della fede, ammonendo testualmente: «Il diavolo abita nei bordelli, nelle osterie, nei palcoscenici, nei teatri».
Quindi, e qui affronto finalmente quanto fatto dalla Nova Ars Cantandi, da Ivana Valotti all'organo e da Giovanni Acciai alla direzione, signore e signori, benvenuti a una suprema rappresentazione in cui la parola/canto si trasforma in quel tanto temuto teatro osteggiato dal nefasto intento borrominiano. Sono ormai svariati decenni che ascolto musica, facendo riflessioni e dispensando i relativi omaggi o vituperi, ma mai mi era capitato di assimilare acusticamente una tale forza fonica trasudante bellezza, l'ineguagliata capacità di costruire, con la potenza della parola (come non rammentare quanto scrisse Heidegger sulla poesia di Hölderlin?), un teatro dell'anima e del cuore. Sì, perché quanto sono riusciti a esprimere (e qui voglio ricordare i loro nomi, Alessandro Carmignani al cantus, Andrea Arrivabene all'altus, Gian Luca Ferrarini al tenor e Marcello Vargetto al bassus) i componenti dell'ensemble rappresenta, a mio modo di sentire, il loro apice assoluto in fatto d'interpretazione (e chi scrive ha avuto modo di ascoltare praticamente tutta la loro nutrita discografia): il gioco dei rimandi, il loro sfumarsi preciso e "vaporoso" allo stesso tempo, la prodigiosa lama dei loro attacchi, la capacità di trasformare l'atto declamatorio come se fosse un dipinto in perenne movimento (ecco il perché dell'importanza della parola che diviene suono in Grancini!), il far sì, e ciò può essere colto solo attraverso un reiterato ascolto sistematico del disco, che lo stesso respiro divenga πνεῦμα artistico, vero e proprio ātmanvedico, ossia nucleo portante di ciò che viene per l'appunto soffiato, dando così vita al verbo stesso, rende assolutamente unica questa registrazione.
Va da sé che l'apporto all'organo positivo di Ivana Valotti ha rappresentato alle mie orecchie un discretissimo "vestire gli ignudi" sonoro, nel senso che un apposito ascolto dovrebbe essere fatto concentrandosi esclusivamente sul suo accompagnare, in quanto è riuscita a manifestare il concetto del basso continuo per quello che idealmente avrebbe dovuto essere nella sua concezione teorica applicata al barocco, ossia contemporaneamente indispensabile e invisibile (o, per meglio dire, inascoltabile), supremo ossimoro di un qualcosa che si avverte nel momento stesso in cui non è più avvertibile. Mi dispiace soltanto per una cosa, che di questa registrazione non ci sia (probabilmente) anche il debito video, perché avrei voluto assistere al gesto direttoriale di Giovanni Acciai, in quanto credo, anzi ne sono sicuro, che il musicologo e direttore sia ormai giunto a realizzare una gestualità "oratoriale", un Cicerone capace di indossare i mirabili panni di un musicus rinascimentale, che declama con le mani e con le espressioni del volto.
Un'ultimissima considerazione: se negli anni Trenta dello scorso secolo, i tedeschi, musicisti e no, venivano a Milano per capire come si dovesse dirigere il Tristan und Isolde wagneriano sotto la bacchetta di Victor De Sabata, allo stesso modo gli attuali paladini d'oltralpe del fare musica in ambito filologico dovrebbero prendere la briga di venire ad ascoltare dalle nostre parti Giovanni Acciai, Ivana Valotti e i componenti della Nova Ars Cantandi. Avrebbero sicuramente molto da imparare.
Ovviamente, Disco del Mese di luglio per MusicVoice (ma dovrebbe essere Disco dell'Anno), per quella che è una delle più straordinarie registrazioni in assoluto di musica barocca di tutti i tempi. E che diamine…
La presa del suono di Jean-Marie Quint, che è anche un raffinato violoncellista barocco, è il cioccolatino finale che conclude alla grande un pasto in uno dei migliori ristoranti a tre stelle della Guida Michelin. Questo perché catturando il suono tra le volte della Basilica Palatina di Santa Barbara a Mantova, luogo prediletto per le registrazioni dell'ensemble, è riuscito a restituire in modo assai efficace quell'idea di teatralità declamatoria, fondamentale per rendere il canto di Grancini. Ciò è avvenuto con una dinamica a dir poco palpabile per naturalezza, energia nucleare e trasparenza timbrica. Risulta quindi scontata, in sede di palcoscenico sonoro, la coinvolgente ricostruzione del luogo fisico, senza che vi sia un pur minimo alone di pernicioso e letale riverbero, con un sentore granitico degli interpreti che, posti a una discretissima profondità, emanano un canto, sempre certosinamente a fuoco, capace di irradiarsi in altezza e in ampiezza. L'equilibrio tonale non è da meno, e basti prestare attenzione alla distinzione dei registri canori rispetto a quelli dell'organo portativo, il quale, privilegiando la gamma medio-grave, non va mai a sovrapporsi o a inquinare le voci che, nel gioco dei rimandi, restano sempre perfettamente conchiuse e autonome nel loro disvelarsi. Infine, il dettaglio è prodigo di tonnellate di nero che circondano e potenziano la matericità, la fisicità degli esecutori, contribuendo ad esaltare ulteriormente la magia di questa registrazione.
ANDREA BEDETTI
Giudizio artistico: 5/5
Giudizio tecnico: 4/5
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Francesco Durante, Salmi e Magnificat
NOVA ARS CANTANDI
Ivana Valotti (organo) - Giovanni Acciai (direzione)
CD Naxos 8.579131
Disco del mese di «Musica». Ottobre 2023, n. 350
Provenzale, Tritto, Insanguine, Latilla, -Logroscino, il maltese Abos, Di Majo, Feo. Molti, anzi troppi sono i maestri del- la gloriosa scuola napoletana del Settecento ormai quasi dimenticati, nonostante la fama ed i meriti acquisiti in vita. Tra questi uno dei più ingiustamente tra- scurati è di certo Francesco Durante (1684-1755), che oltre ad essere compositore di vaglia specie nell'ambito sacro per il quale, secondo la testimonianza di Jommelli, era preso ad esempio, seppur forse meno blasonto di altri conterranei contemporanei, fu di certo insieme a Fe- naroli una delle colonne portanti dell'insegnamento della musica nella città del golfo. La fortuna della musica a Napoli nei cinque Conservatori poggiava difatti su un solido ordinamento scolastco che si basava su una consolidata tradizione, della quale erano garanti alcuni musicisti che, fors'anche sacrificando la luminosa e gratificante carriera di compositori teatrali, si dedicarono a creare e tenere vivo l'insegnamento (segreto della continuità della scuola partenopea per oltre un secolo). Durante fu insegnante a S. Onofrio, ai Poveri di Gesù Cristo e a S. Maria di Loreto, avendo come allievi, tra gli altri, Traetta, Piccinni, Paisiello, Sacchini, Jommelli e Fenaroli.
A ripescare dall'oblio Francesco Durante ci pensa ora col suo ensemble specializzato, il Collegium vocale e strumentale «Nova Ars Cantandi» fondato nel 1998 (qui un quartetto tutto al maschile secondo la prassi sacra dell'epoca) Giovanni Acciai, Giovanni Acciai, leader riconosciuto nell'ambito della esecuzione di antica musica sacra polifonica rinascimentale e barocca. Lo stile sacro di Durante si situa all'esatta confluenza del grande contrappunto palestriniano, appreso forse a Roma dal reatino Ottavio Pitoni ma studiato anche sul Gradus ad Parnassum di Fux, e il nuovo stile moderno appannaggio della città di Partenope.
Nell'esecuzione si avverte la perizia di Acciai nel dosare il peso delle singole voci e nel curare costantemente l'amalgama coloristico, sempre con una costante attenzione alla parola sacra. La scrittura polifonica si dimostra per altro quanto mai varia, passando da procedimenti omo- ritmici ad altri imitativi, ma sempre entro una chiaroscurata eufonia di fondo.
I diversi Salmi in latino (tra gli altri Dixit Dominus, Beatus vir, Laudate pueri, Nisi Dominus, Lauda Jerusalem) e lo splendido Magnificat a 4 voci e basso continuo di grande intensità emotiva (un vero capolavoro) presenti nel cd Naxos sono poi giudiziosamente intercalati con pezzi organistici di Giovan-ni Salvatore (1611- c.1688), anch'egli attivo nei Conservatori partenopei, eseguiti da Ivana Valotti con felice scelta di registri su uno strumento (1565) di Graziadio Antegnati della Basilica di S. Barbara nel Palazzo ducale di Mantova. Una Toccata, due Canzoni francesi e un Capriccio offrono una panoramica significativa dei generi del tempo. Per il continuo è invece usato un organo positivo del 2010 ispirato a un modello del XVI secolo.
Da Legrenzi (tre recenti CD
sempre per Naxos) a Durante, da Venezia a Napoli il nuovo viaggio di Acciai è
compiuto e rivela ancora inaspettate perle musicali.
LORENZO TOZZI
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Salmi e Magnificat di Francesco Durante
NOVA ARS CANTANDI
Ivana Valotti (organo) - Giovanni Acciai (direzione)
CD Naxos 8.579131
Disco del mese di «Music Voice». Agosto 2023
Quando si accenna o si fa riferimento alla Scuola musicale napoletana, quasi sempre con tale termine si definisce solo una componente artistica che la contraddistingue, ossia quella operistica, che ebbe tra i suoi migliori esponenti, tanto per fare qualche nome, i napoletani Giuseppe Porsile e Nicola Porpora, il calabrese Leonardo Vinci, e poi il casertano Niccolò Jommelli, i pugliesi Tommaso Traetta, Niccolò Piccinni, Leonardo Leo, Giovanni Paisiello, i toscani Pietro Alessandro Guglielmi e Antonio Sacchini, fino al divino jesino Giovanni Battista Pergolesi. Ma se il teatro serio e quello comico fanno la parte del leone all'interno di questa scuola, non di meno furono coltivati, con eccelsi risultati, anche il genere strumentale e quello dedicato alla musica sacra.
E visto che sono stati citati autori famosissimi quali Jommelli, Traetta, Piccinni, Paisiello, Guglielmi e Sacchini, oltre a Pergolesi, bisognerà ricordare anche chi fu il loro maestro, ossia il grande, grandissimo Francesco Durante, la cui opera di didatta è pari, per importanza, a quella dedicata alla composizione. Eppure, come diversi musicisti del passato, anche il napoletano Durante, dopo la sua morte, avvenuta nella città partenopea nel 1755, è stato progressivamente messo ai margini della notorietà insieme con le sue opere, quasi esclusivamente concentrate negli ambiti della musica sacra, anche se, a dire il vero, non mancano titoli discografici dedicati a sue composizioni e se talvolta, soprattutto nelle manifestazioni musicali consacrate alla musica barocca, ci si ricorda talvolta di inserirle nei programmi e nelle locandine. Ma resta il fatto che la grandezza e l'importanza di questo musicista dovrebbero meritare, e di ciò siamo ancora in debita attesa, un attestato e una diffusione ben maggiori.
Per nostra fortuna, però, esistono studiosi ed interpreti che, nella loro mirabile opera di rivalutazione, profondono passione e continui sforzi nel tentativo di strappare dall'oblio storico autori e opere, oltre a focalizzare meglio il loro messaggio artistico. Uno di questi studiosi e interpreti è sicuramente Giovanni Acciai e chi segue le vicende editoriali di MusicVoice sa perfettamente che parliamo spesso di lui, insieme con l'ensemble musicale che dirige, la Nova Ars Cantandi, unitamente all'insostituibile presenza dell'organista Ivana Valotti nel ruolo di accompagnamento strumentale. E se, ancora una volta, torno a parlare di loro è per un nuovo progetto discografico legato proprio a Francesco Durante, in quanto per l'etichetta Naxos del compositore campano hanno registrato in prima assoluta mondiale (è bene rimarcarlo), nove Salmi e il Magnificat a quattro, insieme con quattro brani per organo di un altro eccelso appartenente alla Scuola musicale napoletana, il beneventano Giovanni Salvatore (anch'essi mai registrati prima di adesso).
La prima annotazione da fare, che può risultare del tutto pleonastica, tenuto conto che ci troviamo di fronte a una prima registrazione mondiale, è che il compito di Giovanni Acciai e della Nova Ars Cantandi è stato quello, come stanno già facendo con il corpus compositivo di un altro grandissimo musicista, Giovanni Legrenzi, di strappare dal serbatoio della dimenticanza capolavori che non solo sono straordinariamente affascinanti nella loro bellezza e nel loro incommensurabile spessore estetico, ma a livello musicologico spiegano meglio quei meccanismi, quei procedimenti, quelle peculiarità che hanno poi fissato e costruito l'apparato costitutivo di tutta la Scuola napoletana. Se ancora oggi questa scuola continua, e scusate il bisticcio di parole, a fare scuola (così come quella veneziana a cui è legato per l'appunto il nome di Legrenzi) è perché le soluzioni armoniche e conseguentemente melodiche hanno rappresentato qualcosa di straordinario, capaci di mutare in modo incontrovertibile qualsiasi genere musicale che sono andate a toccare. Insomma, grazie a queste due scuole si può ben dire che c'è un prima e un dopo.
Proprio Francesco Durante, in tal senso, rappresenta il caso di un geniale "veicolatore" nel passaggio dal prima al dopo; rari sono gli esempi, nella storia della musica colta occidentale, di musicisti che sono stati illuminati didatti e, allo stesso tempo, portentosi plasmatori, a livello compositivo, di quanto da loro insegnato e il musicista napoletano in questione rientra a pieno titolo all'interno di questa ristretta pletora artistica. Entrando nel contesto delle sue opere presentate nel presente disco, appartengono tutte a un manoscritto conservato nella Biblioteca del Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano, facente parte, più precisamente, del Fondo Musicale "Gustavo Adolfo Noseda" (da notare che la partitura di queste opere è disponibile in un'edizione moderna curata dallo stesso Giovanni Acciai nell'edizione pubblicata dalla Pizzicato Verlag Helvetia nel 2004).
Nelle preziose note di accompagnamento alla registrazione della Naxos, curate ovviamente da Giovanni Acciai, si può comprendere appieno l'importanza di questi nove Salmi (per la precisione, Dixit Dominus, Confitebor, Beatus vir, Laudate pueri, Laetatus sum, In convertendo, Nisi Dominus, Lauda Jerusalem, Credidi) che, con il Magnificat, descrivono esemplarmente i tratti distintivi dello stile di Durante, il quale può essere traslativamente definito quasi fosse "pittorico", in quanto capace di penetrare e adornare la parola devozionale intonata, facendola vibrare semanticamente dall'interno, per realizzare immagini musicali che potevano suggerire il significato dei testi religiosi, proprio come faceva la pittura sacra ad uso e consumo soprattutto di coloro che, limitati dall'analfabetismo, non erano in grado di leggere le sacre scritture.
L'aspetto semantico del risultato compositivo di Durante non è da sottovalutare, poiché pochi musicisti sono stati in grado di lavorare, a livello di sfumature, colori, influssi psicologici dati dai testi sacri, come riuscì a fare l'artista campano; è stato detto, giustamente, dell'importanza che Durante diede, soprattutto in ambito didattico, al contesto armonico, ma è sufficiente ascoltare questi brani per rendersi conto come la dimensione narrante che scaturisce dai testi dei Salmi in oggetto assuma una valenza realmente teatralizzante, con i quattro cantori che divengono veri e propri "attori", tale è ricca, profonda e complessa la tavolozza canora. E ciò avviene poiché la caratura armonica della struttura musicale non è mai statica, ma resa con una proiezione dinamica così pronunciata da stimolare ed esaltare la componente melodica; a proposito di quest'ultima, è bene rimarcare il fatto che Durante, proprio per facilitare la comprensione e il relativo coinvolgimento dell'ascolto, utilizza prevalentemente l'omofonia, andando, è qui risiede un altro aspetto del suo genio, ad arricchirla con un apparato di tensioni contrappuntistiche le quali, a loro volta, danno vita a brillanti giochi imitativi, a dialoghi di coppie di voci, oppure tra solisti (soprattutto il ruolo sopranile) e tutti, accorgimenti, questi, che trasformano la dimensione dei Salmi in una sorta di oratori minimalistici, tale è il contrapporsi continuo tra tensione e distensione, tra piani verticali e orizzontali, tra luci e penombre. E poi, il germe della modernità, basata su un accorto utilizzo delle dissonanze, o nell'avvalersi di accordi diminuiti e di cromatismi (!), così come di contrasti tematici e armonici, affinché la costruzione del tessuto musicale potesse fornire l'immagine di un flusso emotivo e psicologico in perenne trasformazione, come un sismografo capace di trasmettere con il pennino una linea continuamente frastagliata sulla carta millimetrata dell'ascolto.
Considero, a tale proposito, congeniale che il disco si concluda proprio con il Magnificat, che può essere definito una summa ideale di tutti questi aspetti, un prodigioso concentrato di tradizione lanciata al galoppo nei verdi prati della modernità, che trova piena espressione in una tensione spasmodica che, allo stesso tempo, viene smussata da un accorto uso ritmico della materia musicale, la quale fa affiorare continuamente commoventi afflati melodici.
Presumo che la scelta, effettuata da Giovanni Acciai, di voler inserire quattro brani organistici di Giovanni Salvatore sia dovuta dal fatto che quanto esprime il compositore di Castelvenere attraverso questo strumento sia assai simile a quanto Durante riesce a fare nei confronti della musica vocale, vale a dire sfruttare la lezione della tradizione, sulla quale poi applicare un procedimento di scrittura che punta decisamente al futuro. Se sotto alcuni aspetti la sua musica può essere assimilata a quella del grande Frescobaldi, dall'altra non si può fare a meno di constatare, già a cominciare dalla Toccata in la minore con la quale si apre il disco, come Salvatore tenda a privilegiare l'uso delle cosiddette durezze, ossia delle dissonanze, non trattandole però come semplice "artifizio", bensì inserendole idealmente all'interno del costrutto, facendo sì che non andassero a urtare e a destabilizzare la linea melodica (è bene ricordare che anche questo musicista fu un valentissimo didatta, attività che svolse a Napoli, dapprima al Conservatorio della Pietà dei Turchini, dove insegnò dal 1662 al 1673, e poi in quello dei Poveri di Gesù Cristo, dal 1674 fino al 1688, quando probabilmente morì).
Ciò ci fa comprendere meglio il progetto di mediazione che il compositore beneventano cercò di attuare nel suo costrutto organistico (tanto per ribadire quanto espresso in precedenza, la musica vocale di questo autore dev'essere ancora studiata e divulgata ed è quindi tutt'ora in attesa di una debita rivalutazione), vale a dire giungere a un'efficace sperimentazione pur rispettando e facendo affidamento su una consolidata lezione tramandata, soprattutto da quella di Giovanni Maria Trabaci, e senza dimenticare il fondamentale apporto dato dalla scuola fiamminga.
Che cosa si può scrivere su Giovanni Acciai, su Ivana Valotti e sulla Nova Ars Cantandi rispetto a questo nuovo loro progetto discografico? Ci sarebbe il serio rischio di ripetersi, di riannodare valutazioni e considerazioni che appartengono di diritto alle precedenti registrazioni che abbiamo già trattato sulle pagine di questa rivista, poiché il livello interpretativo non muta di una virgola, ossia sempre basato su un altissimo valore espressivo, oltre che su un rigore a dir poco ammirevole. Perché su un punto dobbiamo essere oltremodo chiari: ogni nuovo loro disco non solo strappa dall'oblio autori e composizioni che non meritano assolutamente di appartenere al regno della dimenticanza, ma aggiungono, sempre in nome di un'assoluta lucidità intellettuale e musicologica, un ulteriore tassello votato a ricostruire un ineguagliabile panorama musicale, in ambito nazionale, che meriterebbe ben altra sorte, rispetto invece ad altri di cui faremmo volentieri a meno. E ogni volta il bersaglio viene sempre centrato: anche questo CD, dedicato a Durante e a Salvatore, è semplicemente esemplare nell'aprire squarci musicali, messaggi artistici di un'epoca che non può e non dev'essere accantonata, come le centinaia di partiture che giacciono (e devono essere ancora rivalutate e fatte conoscere) in quel meraviglioso scrigno che è la Biblioteca del Conservatorio di San Pietro in Majella a Napoli, la cui importanza, soprattutto per ciò che riguarda la musica barocca, non ha eguali al mondo.
Chi ama la musica antica e quella barocca, soprattutto quella sacra, non può non gioire quando questi studiosi e interpreti, come quelli presi in oggetto in tale sede, danno alle stampe una nuova registrazione. Nel caso specifico, ascoltare i nove Salmi e il Magnificat di Durante significa realmente accedere a una sfera musicale la cui grandezza lascia attoniti, anche se la caratura compositiva deve molto, moltissimo alla lettura fatta da Acciai e dalle quattro voci della Nova Ars Cantandi (permettete che questa volta un mio plauso personale vada soprattutto a quella sopranile di Alessandro Carmignani, autore di un'interpretazione che suscita semplicemente entusiasmo?), le quali riescono a restituire un afflato di purezza che probabilmente Francesco Durante riuscì solo lontanamente a immaginare e ad agognare. Il senso ritmico che riescono a imprimere alla linea melodica, andando nel contempo a saggiare e ad esplorare quella armonica, riesce a tramutare l'ascolto di questi brani in un viaggio ipnotico, trascendentale, mirante a un empireo al quale possono accedere solo pochissimi ensemble vocali. La caratura è tale che le voci in questione non si limitano a restituire la materia musicale, ma la penetrano e la setacciano a un punto tale da lasciare senza parole. E lo stesso può essere affermato, senza timore di essere smentiti, per Ivana Valotti, la cui passione e competenza nell'arte esecutiva organistica le permette di affrontare e districare, ridonandole nella loro autentica bellezza, pagine di un ricco repertorio, come in questo caso, in cui i quattro brani di Salvatore vengono dissezionati e ricuciti in modo da far comprendere la portata della loro scrittura.
Un'ultima considerazione dev'essere fatta su Giovanni Acciai: ce ne fossero nel nostro Paese di studiosi e artisti di tale pasta! La sua direzione trasmette non solo rigore, non solo gesti mutuati dall'indagine musicologica, ma soprattutto passione, amore nel trasmettere con calore ed entusiasmo un sapere sonoro che non merita di essere cancellato dal tempo e dall'indifferenza degli uomini. Ascoltando questo disco, non si può fare a meno di definire e di circoscrivere la sua direzione con due termini che la dicono lunga sulla sua missione: incalzante e totalizzante.
Jean Marie Quint si è occupato della presa del suono, avvenuta, come di consueto per questo organico, tra le volte della Basilica Palatina di Santa Barbara a Mantova. La dinamica è assai buona, così come negli altri parametri, soprattutto nella registrazione dei Salmi di Durante. Per quanto riguarda la cattura del suono dei brani per organo di Salvatore si possono cogliere dei rumori, come se fossero stati registrati durante un concerto dal vivo, anche se propendo per una presa effettuata senza il pubblico. Ad ogni modo, la ricostruzione del palcoscenico sonoro è migliore per ciò che riguarda Durante, poiché l'organo Antegnati risulta essere leggermente "intubato" rispetto all'ampiezza e all'altezza con le quali le quattro voci vengono restituite, oltre a una loro fisicità maggiormente pregnante. Buono sia l'equilibrio tonale (in Durante è davvero eccelso), sia il dettaglio, anche qui migliore, in fatto di matericità, nelle voci rispetto all'organo.
ANDREA BEDETTI
Giudizio artistico: 5/5
Giudizio tecnico: 4/5
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L'Harmonia d'affetti devoti, op. 3 di Giovanni Legrenzi: una gemma della musica sacra del Seicento.
NOVA ARS CANTANDI
Ivana Valotti (organo) - Giovanni Acciai (direzione).
2CD Naxos 8.579123-24
Disco del mese di «Music Voice». Maggio 2022
Dedicata al Duca di Parma Alessandro Farnese, l'Harmonia d'affetti devoti rappresenta un ulteriore step nell'innovazione del cosiddetto genere del concertato applicato alla musica sacra del Seicento, che prese piede proprio a metà di quel secolo. Il suo stile riprende quello delineato da Claudio Monteverdi nella celebre raccolta Selva morale e spirituale, pubblicata quindici anni prima, basata sul rivoluzionario concetto della seconda prattica, la quale valorizzava la dimensione testuale della voce e con la musica votata ad esaltarne il messaggio emotivo. Si può ben sostenere, quindi, come fa Giovanni Acciai nelle sue erudite e approfondite note di accompagnamento al disco, che l'op. 3 di Legrenzi sia il risultato del meditato e attento studio che il musicista di Clusone fece dello stylus modernus monteverdiano. Questo, però, non significa che tale lezione fu sviluppata da Legrenzi in modo pedissequo e imitativo, ma inserita e sviluppata attraverso la propria straordinaria inventiva, basata su un approccio straordinariamente melodico, unitamente al contesto armonico e contrappuntistico, della materia musicale. Una musica che, attraverso l'esaltazione del testo, doveva divenire altamente espressiva, in grado di essere persuasiva non solo nella sua dimensione estetica, ma anche in quella spirituale.
L'Harmonia d'affetti devoti fu composta per un numero limitato di voci (quattro, anche se diversi dei suoi quattordici brani che la compongono sono previsti per due o tre voci, con il discreto accompagnamento dell'organo), il che ci fa comprendere il suo utilizzo che fu pensato soprattutto per venire incontro alle necessità di quelle realtà ecclesiastiche che non potevano vantare una massa corale più nutrita per evidenti problemi di natura economica. Ma povertà di mezzi offerti non significava un'altrettanta povertà in termini di espressività e di bellezza, poiché l'op. 3 è un miracoloso scrigno nel quale si celano pagine e momenti di altissimo pregio musicale ed espressivo, grazie a un geniale equilibrio stilistico dato da un linguaggio in cui trovano posto sfumature timbriche, idee armoniche e un utilizzo sagace del già citato stile concertato contrappuntistico tra le parti, tale da far scaturire in coloro che ascoltavano un moto di coinvolgimento e di grande e totale emozione.
I testi scelti per l'opera, forse dello stesso Legrenzi, sono del tutto originali e non sono tratti invece dal tradizionale repertorio liturgico del Proprium, dell'Ordinarium Missae o dall'Officium divinum. Tali testi non sono il risultato di una profonda riflessione teologica, ma tendono a proporre immagini e sensazioni votate a una grande semplicità espressiva, in modo da generare nell'ascoltatore, anche quello più incolto, un moto di stupore et maraviglia, poiché lo scopo primario, proprio sulla base di quanto enunciato dalla seconda prattica, mirava a ciò: coinvolgere in modo diretto, senza fare ricorso a un inutile sfarzo armonico e melodico, ma puntando sull'essenziale bellezza di una melodia anche mediante un'accurata struttura ritmica capace di attirare, fin dal primo ascolto, l'attenzione del fedele. Tale essenzialità, però non era scevra, come accade del resto nel repertorio madrigalistico del primo Seicento, di un apparato colmo di metafore e di analogie (lo stesso che si può cogliere nella pittura sacra e profana dell'epoca), la cui funzione era di aumentare l'attenzione e il coinvolgimento dell'assemblea di fedeli. Così, melodia e testo vanno di pari passo, con la prima che aiuta, armonicamente e ritmicamente, a sostenere e a incentivare la piena comprensione del secondo. Da qui, una pletora di vere e proprie «rappresentazioni sceniche» capaci di proiettarsi nell'immaginazione e nell'animo dell'ascoltatore, il quale viene avvinto, quasi a livello catartico, nell'esplorazione di diversi stati emotivi a seconda della proiezione generata; così, tanto per fare qualche esempio, si va dal moto della contrizione che scaturisce dal secondo brano, Quam amarum est Maria, passando attraverso la colpa e la fragilità umane (Cadite montes, n. 4), fino al concetto della dannazione eterna e della sofferenza che redime (O santictissimum, n. 7).
Da queste poche annotazioni, anche senza averla ancora ascoltata, si può intuire come l'Harmonia d'affetti devoti sia un'opera che, al di là della sua quotidiana funzione liturgica, abbisogna non solo di una pura ed altamente espressiva capacità canora tra le voci del soprano, del contralto, del tenore e del basso, ma anche e soprattutto di un'indubbia capacità nel rendere le minime e quasi impercettibili sfumature psicologiche che impregnano questi quattordici brani. E qui intervengono in modo stupefacente le quattro voci della Nova Ars Cantandi (ricordiamole: Alessandro Carmignani, soprano; Andrea Arrivabene, contralto; Gianluca Ferrarini, tenore; Marcello Vargetto, basso), le quali, sotto il gesto preciso e amorevole di Giovanni Acciai, riescono a rendere con una sorprendente e apparente semplicità tali requisiti stilistici. Attenzione, però: un'opera del genere, per essere resa degnamente, non deve passare solo attraverso le capacità espressive della voce, ma deve anche generare un'impressione «teatrale» dell'atto canoro stesso (lo so, mi sto ripetendo, ma quando ascolto le registrazioni di questo ensemble, non posso fare a meno di mettere in risalto, repetita iuvant, quello che è indiscutibilmente il loro DNA artistico, basato per l'appunto su questa straordinaria capacità di rendere «teatrale» quanto da loro interpretato); questo significa che le sue letture risultano essere incredibilmente «tridimensionali» nello loro portata espressiva, in quanto le quattro voci riescono a restituire perfettamente un'interiorità, un'immanenza di quanto dev'essere reso con la voce. E quando ciò accade, lo spazio circostante (e questo anche grazie alla presa del suono, vedi giudizio tecnico) viene investito da una saturazione squisitamente emotiva del gesto canoro, con il risultato che il semplice, si fa per dire, canto diviene miracolosamente teatro, spazialità acquisita, palcoscenico interiore/esteriore, con l'unidimensionalità della voce restituita dall'apporto registrato che magicamente si irradia in una tridimensionalità emotiva, assoluta.
Se le quattro voci restituiscono pienamente il rigore espressivo del testo, nel loro modo di attuarlo in un teatro emotivamente palpabile, l'apporto dato da Ivana Valotti all'organo è come la rassicurante presenza materna, un'ombra che accudisce la dimensione canora, la custodisce e la fa crescere, il discreto sentiero ritmico che fornisce l'ossigeno artistico ed estetico affinché il canto stesso si possa propagare nella debita spazialità interiore. Provate, a un secondo ascolto, ad escludere la vostra attenzione dalle voci e concentratevi unicamente sulla linea sonora dell'organo e capirete l'importanza di questo apporto, di questa sensibilissima carezza che è come un nido accogliente senza il quale buona parte della costruzione finale andrebbe a perdere inesorabilmente il suo fascino.
Infine, Giovanni Acciai. Al di là del suo inestimabile lavoro di musicologo, ricercatore e appassionato studioso, capace di riportare in superficie pagine ed opere meravigliose (e ciò già basterebbe per farne un intellettuale da ringraziare e ammirare), vi è il lato dell'artista, dell'interprete che governa il gesto, l'accenno, la direzione da dare alle voci e all'organo, il deus ex machina che regola e indica. È un vero peccato non poter vedere il suo gesto, la sua capacità di far tramutare i segni in qualcosa di vivo, di finalmente realizzabile nella fisicità dell'atto artistico; possiamo, tutt'al più, immaginarlo. E questo è già elemento di conforto e di ulteriore ringraziamento. Da tutto ciò, ne consegue un solo risultato, almeno per ciò che ci riguarda direttamente, ossia che questa registrazione non può non essere considerata disco del mese di maggio 2022. E ho detto tutto.
Nova Ars CantandiUn ulteriore tassello alla preziosità di questo progetto discografico è dato dal lavoro effettuato per la presa del suono (fatta da Jean-Marie Quint), la quale è stata realizzata nella magnifica Basilica Palatina di Santa Barbara a Mantova, un luogo magico, e non solo per i tesori che vi sono custoditi, ma anche per ciò che riesce a fare, in sede di spazialità e di fisicità, nell'emissione e nella propagazione del suono, vocale o strumentale che sia. La dinamica è oltremodo energica, precisa, piacevolmente veloce nei transienti; ciò permette di cogliere ogni minima inflessione, ogni minima sfumatura delle quattro voci e dell'organo, in modo che la loro restituzione all'interno del palcoscenico sonoro risulti a dir poco scolpita, con i quattro cantanti e lo strumento posizionati al centro dei diffusori, a una discreta profondità, la quale viene fisicamente esaltata da un riverbero che non risulta mai artificioso o scorretto, ma capace di delineare la spazialità nella quale gli interpreti si trovano. L'equilibrio tonale non è da meno, visto che i vari registri risultano essere sempre perfettamente scontornati, affinché le linee canore rimangano sempre distinte, anche quando le quattro voci e l'organo sono simultaneamente presenti. Infine, il dettaglio è piacevolmente materico, ricco di nero, con l'impressione, se si chiudono gli occhi, di immaginare la presenza fisica della Nova Ars Cantandi nella propria sala d'ascolto.
ANDREA BEDETTI
Giudizio artistico: 5/5 Giudizio tecnico: 5/5
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GIOVANNI LEGRENZI, Harmonia d'affetti devoti, op. 3
2 CD NAXOS 8.579123-24
CINQUE STELLE
Giovanni Acciai con il suo gruppo Nova Ars Cantandi e con Ivana Valotti all'organo, prosegue l'esplorazione del Legrenzi sacro, proponendo dopo le Compiete, op. 7, una affascinante raccolta giovanile di quattordici pezzi pubblicati nel 1655 con il titolo Harmonia d'affetti devoti, op. 3.
Anche qui Giovanni Legrenzi accoglie la lezione del nuovo stile concertato come l'aveva praticato Monteverdi in ambito sacro, nella Selva morale e spirituale.
I mezzi vocali limitati (due, tre o quattro voci e basso continuo), rendono la raccolta adatta anche a chiese con pochi mezzi.
I testi non appartengono al repertorio liturgico, ma sono destinati a inserirvisi, e potrebbero essere dello stesso Legrenzi, che era sacerdote. Vanno cercati nel sito della Naxos, ed è bene conoscerli per osservare con quale intensità, varietà e fantasia Legrenzi accoglie gli stimoli, con esiti sempre affascinanti e con capacità di seduzione melodica non inferiore a quella che troviamo nelle sue opere teatrali.
La direzione di Acciai e le quattro voci maschili di Nova Ars Cantandi (Alessandro Carmignani, Andrea Arrivabene, Gianluca Ferrarini, Marcello Vargetto) ne rivelano la bellezza con sicura adesione stilistica e la partecipazione di Ivana Valotti all'organo è calibrata con grande equilibrio.
PAOLO PETAZZI
(Classic Voice, n. 276, maggio 2022)
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GIOVANNI LEGRENZI, Harmonia d'affetti devoti, op. 3
Questa è una versione che rasenta la perfezione ... Un vero gioiello nel catalogo di Naxos.
COLIN CLARKE
In questo stesso periodo, lo scorso anno,, abbiamo esaminato le Compiete, op. 7 di Giovanni Legrenzi.
Un anno dopo, sempre di Legrenzi, gli stessi interpreti della Nova Ars Cantandi, propongono l'op. 3, l'Harmonia d'affetti devoti (pubblicata nel 1655 a Venezia da Alessandro Vincenti).
Ricordiamo che Giovanni Legrenzi (1626-1690) fu uno dei compositori piú dotati e influenti della sua generazione, svolgendo un ruolo decisivo nell'affermazione dello stile barocco nell'Italia settentrionale nella seconda metà del XVII secolo. Contemporaneo di Alessandro Stradella, nella sua Harmonia d'affetti devoti, a due, tre e quattro voci con basso d'organo, raccolta di brani destinati all'uso liturgico, Legrenzi attinge a fondo ai modelli compositivi di Claudio Monteverdi.
In piú, i testi intonati sono massimamente espressivi, le doti melodiche di Legrenzi al loro apice.
Si ascolti la fluidità lineare della terza traccia, Occurite celestes. Le linee vocali sinuose e intrecciate sono una gioia assoluta, cantate dal contralto Andrea Arrivabene e dal tenore Gianluca Ferrarini:
https://www.youtube.com/watch?v=XRRK7RMUfCk&list=OLAK5uy_n1DqDznsVTOZooyOXlMeDhMpKAv2QC7wM
L'acustica della Basilica Palatina di Santa Barbara a Mantova, è perfetta. Questa è la prima registrazione completa dell'op. 3, e difficilmente potrebbe desiderare artisti migliori o una registrazione migliore.
L'opera, dedicata ad Alessandro Farnese (1545-1592), duca di Parma, ha avuto un ruolo importante nello sviluppo del cosiddetto stile concertato.
I testi sono originali (anche se il loro autore è sconosciuto).
La varietà di emozioni che Legrenzi suscita è vasta.
Si provi ad ascoltare la dannazione eterna e la sofferenza redentrice del n. 7, O Sanctissimum, che vede protagonisti tre dei quattro solisti (il soprano Alessandro Carmigiani, il contralto Andrea Arrivabene e il basso Marcello Vargetto):
https://www.youtube.com/watch?v=MkuxHNnIDaM&list=OLAK5uy_n1DqDznsVTOZooyOXlMeDhMpKAv2QC7wM&index=7
Legrenzi, durante la sua permanenza a Bergamo e a Ferrara, potrebbe aver familiarizzato con certe movenze della musica popolare; ne possiamo sentire un'eco nell'«Obscurum non habet» di Quid timetis pastores?, la prima traccia del secondo disco, quando la musica si schiarisce improvvisamente:
https://www.youtube.com/watch?v=9ytZQqhEb6E&list=OLAK5uy_n1DqDznsVTOZooyOXlMeDhMpKAv2QC7wM&index=8
La pura bellezza del Salve Regina di Legrenzi sembra quasi impossibile da realizzare.
Si ascolti come Nova Ars Cantandi renda le finali di frase, con impeccabili diminuendi.
https://www.youtube.com/watch?v=dDjGGiypRdQ&list=OLAK5uy_n1DqDznsVTOZooyOXlMeDhMpKAv2QC7wM
Ascoltare direttamente questo duetto è una sorta di tuffo nel passato: la scala temporale consente davvero di entrare nel mondo altamente individuale e splendidamente scolpito di Legrenzi.
Il finale Adoramus te, è ovviamente, una dichiarazione altamente interiore. Ascoltando i membri di Nova Ars Cantandi, con la loro esecuzione senza vibrato, e il raffinato contributo organistico di Ivana Valotti, si ha davvero la percezione che questa sia la chiusura perfetta dell'opera:
https://www.youtube.com/watch?v=6wwQbSvS15Y&list=OLAK5uy_n1DqDznsVTOZooyOXlMeDhMpKAv2QC7wM
Testi e traduzioni non sono stampati nel libretto ma sono comunque disponibili qui:
https://www.naxos.com/sungtext/pdf/8.579123-24_sungtext.pdf
Si tratta di un'edizione che rasenta la perfezione, con superbe note del libretto a cura del direttore del gruppo, Giovanni Acciai (che ha anche preparato l'edizione critica delle musiche utilizzate nella registrazione).
L'unica cosa che manca sono i dettagli tecnici dell'organo utilizzato; questo non dovrebbe infastidire assolutamente nessuno, però conosco alcuni organisti che apprezzerebbero poter avere questa informazione.
Questo CD è un vero gioiello nel catalogo di Naxos.
COLIN CLARKE
(Classical explorer)
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Splendida registrazione della «Nova Ars Cantandi»
Maggio 2021
MASSIMO GIUSEPPE BIANCHI
Protagonista di spicco del Barocco italiano, molto ammirato da Bach, Giovanni Legrenzi è oggi un autore quasi del tutto dimenticato. Diamo quindi il benvenuto a questa splendida registrazione dell'ensemble vocale «Nova Ars Cantandi», mirabilmente diretta da Giovanni Acciai, con Ivana Valotti all'organo. Musica che, oltre a rappresentare una sintesi sommaria di diverse esperienze contemporanee e passate, è di per sé un prodigio per l'originalità dell'invenzione poetica.
È curioso notare, al di là di ogni polemica e solo per dare un quadro della situazione, come in Italia, oltre alla mancanza di attenzione «centrifuga» per ciò che accade fuori di noi nel campo della produzione contemporanea mondiale, soprattutto extraeuropeo, regna un disinteresse «centripeto» verso il recupero e la valorizzazione del nostro patrimonio musicale storico.
Considero tutto questo il sintomo di una malattia che ha un nome ben preciso: provincialismo. Il dato significativo mi sembra essere questo: partiture alla mano, non c'è motivo di sottovalutare questo repertorio, che ha naturalmente bisogno di interpreti competenti per brillare.
Tanto piú significativo è questo disco, coloro che trovano difficile essere d'accordo con me si avvicineranno e cambieranno idea.
Lode quindi e grazie al Maestro Giovanni Acciai e agli interpreti.
MASSIMO GIUSEPPE BIANCHI
(Il Saggiatore musicale)
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Ogni secondo, gli ascoltatori possono sentire il sangue del cuore pulsare in questa speciale registrazione
Aprile 2021
MANUEL STANGORRA
Questa esemplare registrazione in prima mondiale delle «Compiete», op. 7 del maestro del Rinascimento italiano Giovanni Legrenzi (1626-1690), che l'ensemble di punta italiano «Nova Ars Cantandi» presenta ora in un CD nuovo di zecca per Naxos.
Il suo direttore artistico Giovanni Acciai è presente, da quando ha assunto la direzione del Coro da Camera della RAI di Roma nel 1989, tra le personalità piú importanti della scena corale antica europea.
In ogni secondo, gli ascoltatori possono sentire la passione che scorre in questa registrazione speciale .
Anche l'inizio di questo disco di musica sacra trasuda eccentricità, quando Alessandro Carmignani intona l'introduzione «Iube, Domne, benedicere«» nel registro di soprano .
I cantanti poi dialogano sempre abilmente fra loro e nei passaggi omofonici ottengono un suono ricco che non è secondo a nessuno.
Il «Confiteor», incantevole nella sua dolcezza, ancor piú il «Cum invocarem» portano ad altezze limite, meravigliose. Tutto contribuisce a creare un'atmosfera sacra duratura che attraversa l'intero disco. Ma ciò che davvero affascina è il canto pieno e audace della voce di basso di Marcello Vargetto. Se praticasse il genere operistico. sarebbe sicuramente un favoloso Osmin del «Ratto dal serraglio» di Mozart.
La gamma espressiva della «Nova Ars Cantandi» è particolarmente ampia nel «Cum invocarem», con l'attenzione sempre rivolta al bel suono. La sorprendente omogeneità del canto qui mostrata può essere raggiunta solo da una formazione che da tempo prova e si esibisce insieme.
Il finale del CD, che viene preannunciato in un'immensa stretta emotiva dalle «Litaniae Beatae Mariae Virginis», va anche sottolineato. Per fortuna, i testi sono tutti stampati nell'originale latino e in una traduzione inglese, in modo che l'ascoltatore possa facilmente identificare particolarità espressive che emergono nel testo.
Anche qui domina la beata armonia della musica rinascimentale italiana.
Questa è un'impresa impressionante di grande intimità e flessibilità.
L'organo di sottofondo forma il supporto armonico con discrezione, senza mai diventare invadente: il canto elogiativo è sempre al centro, come in «Alma Redemptoris Mater», «Regina Coeli» e «Salve, regina».
MANUEL STANGORRA
(Chorzeit n. 81)
Suono d'insieme: Cinque stelle Interpretazione: Cinque stelle
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Quelle beauté, quelle perfection!
Décembre 2020
Je viens juste d'ecouter les Compiete de Giovanni Legrenzi, dans la superbe interpretation du Nova Ars Cantandi et de son directeur Giovanni Acciai. Quelle beauté, quelle perfection si bien l'enregistrement que l'interprétation! Vraiment un bijoux.
Il y a ici un ensemble de vocalistes extraordinaires de qualité exceptionnelle.Un style remarquable et vraiment un enregistrement parfait. Une acoustique parfaite. Dès les premières notes nous étions hypnotisés de la superbe qualité de ce disque et de cette musique inestimable. Comment est-ce possible que les œuvres de Legrenzi sont restés presque inconnues jusqu'à présent?
JEAN-PIERRE VAN AVERMAET
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Revelatory Legrenzi's Compiete
December 2020
«Compieta» è la preghiera finale della giornata monastica. Non sorprende che un tale momento sia onorato dai compositori con musica di radiosa bellezza; ciò che sorprende è che questa esecuzione, per accordare il titolo completo dell'opera, Compiete con le lettanie et antifone della B.V,. a 5 op. 7 è una registrazione in prima mondiale. Questa è musica di freschezza ed emozione, attraversata da profonda spiritualità e (per fortuna, visto lo status di prima mondiale di cui gode questo disco) ascoltata in un'esecuzione della massima bellezza. […] Oggi, Legrenzi è forse meglio conosciuto per la sua musica strumentale, ma questo disco implica che dovremmo cercare altrove. […] Aspetta solo di ascoltare questa nuova registrazione di Naxos, con le cinque voci di Nova Ars Cantandi (SCTTB) in forma magnifica, insieme a Ivana Valotti all'organo; il direttore Giovani Acciai sembra trovare i tempi perfetti dappertutto. […] Scritto secondo le nuove libertà stilistiche della «seconda pratica» di Monteverdi («seconda pratica», nella quale le rigide regole di dissonanza e di contrappunto della «prima pratica» erano alquanto allentate), Legrenzi assicura che il significato delle parole è perfettamente onorato. La maggior parte del lavoro è nel cosiddetto «stile concertato» (alternanza di soli e tutti), e il contrappunto di Legrenzi è progressivo per l'epoca, rappresentando la cosiddetta «nuova musica». Eppure usa lo stile più antico (stylus gravis) per alcuni passaggi di fugato. Tanto, tanto tecnico; il punto è che si tratta di un'opera estremamente varia di una bellezza che scioglie il cuore. […] Ascolta queste Compiete; questa è una delle uscite barocche più significative nelle qualii mi sono imbattuto quest'anno e, a dire il vero, presenta il piú autentico distillato della bellezza della musica di Legrenzi tra tutte le proposte discografiche finora pubblicate.
COLIN CLARKE
(Classical explorer)